LE ERBE E LE MELE DI ANTONIO
Passeggiando per l’Altopiano la bellezza è ovunque, fin dove la vista può spaziare. Dalle curve sinuose che definiscono il paesaggio e i sentieri che si perdono tra i boschi solo per condurre lo sguardo verso le cime dei monti, che sembra di poter toccare con una mano. E tra il verde dei prati si scorge un’altra bellezza: quella delle erbe selvatiche che hanno da raccontare molto più di quanto non testimoniano gli occhi. Lo sa bene Antonio Cantele, un nome che nel comprensorio dei Sette Comuni è sinonimo di passione per la natura e di profonda conoscenza del territorio e delle sue essenze. Lo scorso settembre ha ricevuto, assieme alla figlia Lisa, la bandiera di Legambiente per le buone pratiche a favore della tutela dell’ambiente. Lui, oggi settantenne è originario di Lusiana ma da tempo residente in Contrà Busa di Asiago, si è diplomato erborista a Urbino nel 1981. Ha fatto della sua passione per la natura il suo lavoro, ampliando la conoscenza di ogni tipo di erba officinale, aromatica, liquoristica tanto da tenere corsi con tanto di escursioni.
“Ogni erba che si raccoglie ha molto più da raccontare di quello che mostra agli occhi. Ci sono profumi, sapori e persino effetti medicinali che le rendono ciascuna erba, diversa dall’altra. Io mi sono innamorato proprio per questa diversità che coinvolge olfatto e gusto, chiedendomi se ci potesse essere anche qualcosa di diverso per curarsi dai rimedi farmaceutici moderni. Cercavo qualcosa che avesse un’anima, che oltre a farmi stare bene avesse qualcosa da trasmettermi. Le erbe mi hanno dato questo”. C’è da dire che l’esperienza di Antonio Cantele, a tratti non è diversa dalle generazioni di un tempo che traevano beneficio e cura proprio dall’uso di ciò che la natura metteva a disposizione e che, in particolar modo sull’Altopiano, trova una varietà di piante che si prestano a molti scopi. “L’Altopiano da questo punto di vista è qualcosa di meraviglioso, dove il ricorso alle proprietà medicinali delle erbe era assai diffuso. Parliamo di piante di uso popolare che la natura da sempre ci fornisce come l’ortica, il tarassaco, la bardana, tutte dalle proprietà riconosciute e che, nel tempo, hanno sconfinato addirittura nella gastronomia. E in questo stesso territorio, accanto alle erbe hanno trovato posto piante di fagiolo, patate e ortaggi antichi come la pastinaca”. La passione di Cantele per i profumi e i sapori di un tempo lo ha portato ad intraprendere un’avventura che dura da almeno un decennio e che è andata oltre le erbe. “Proprio qui ad Asiago ho iniziato a coltivare varietà antiche di mele; molte provengono da questa zona e altre da tutto il mondo. Sono ormai più di duecento. Ce l’abbiamo sotto gli occhi quasi tutti i giorni ma forse non ce ne rendiamo conto: la mela è uno dei frutti più preziosi. Ha effetti curativi diversi, a seconda che la si mangi cruda, appena colta dall’albero o cotta e il sidro che si ricava dalla fermentazione è molto salutare. Ma la cosa più bella è che ogni mela ha un sapore diverso dall’altra e se si pensa che alcune varietà giungono a noi da lontano, assaggiarne il frutto è come fare un salto nel passato, a ciò che gustavano i nostri antenati”. Antonio Cantele ne è convinto. L’Altopiano ha molte esperienze da regalare a chi ci si avventura. “Dal punto di vista di ciò che questo ambiente può dare, c’è solo l’imbarazzo della scelta, con peculiarità che non si trovano ovunque. Io ad esempio ho scoperto solo pochi anni fa, per caso, che ad Enego ci sono moltissimi gelsi che un tempo erano utilizzati per la coltivazione del baco da seta. A Lusiana invece, c’è un corbezzolo, una pianta tipica del sud Italia e importata qui oltre 150 anni fa che oggi ha raggiunto un’altezza di 8 metri. Da queste parti c’è un melo il cui tronco ha raggiunto il diametro di un metro. Parliamo di un albero da frutto che ha superato i due secoli di vita. C’è tanto da conoscere e c’è tanto da preservare da queste parti per portare avanti tradizioni e conoscenze del territorio e non lasciare che queste si disperdano”. Le parole sembrano quasi un invito ai giovani, a raccogliere il testimone di queste terre dei Sette comuni. “Sì, penso che i giovani possano valorizzare il potenziale del nostro territorio, di tutto l’Altopiano per mettere in piedi una realtà che resti nel tempo, culturalmente e turisticamente, per mostrare al mondo ciò che c’è”.