• LA CALÀ DEL SASSO:  UNA QUESTIONE DI VALORE AGGIUNTO.
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LA CALÀ DEL SASSO: UNA QUESTIONE DI VALORE AGGIUNTO.

Tra storia e leggenda, un percorso lungo i mitici 4444 scalini di pietra con l’accompagnamento di Gianni Frigo delle Guide Altopiano.

Asiago e Lusiana Enego e Foza Gallio, Rotzo,Roana questi sono i Sette antichi Comuni, fratelli diletti.
Fratelli diletti certo ma che, come succede nelle migliori famiglie, di tanto in tanto litigano tra loro. La nostra storia inizia poco dopo il “mille non più mille!”: l’Apocalisse non c’è stata, la fine del mondo nemmeno, siamo ancora in questa “valle di lacrime” ma vivi e bisogna darsi da fare per rimanere tali.
All’epoca gli stanziamenti in Altopiano sono già un dato di fatto e, anche se non è ancora chiaro se siano cimbre, gote, longobarde, latine o di tutto un po’, le genti che li abitano hanno la necessità di commerciare con le popolazioni circostanti: il che significa dotarsi di “strade” che permettano il movimento di merci e persone in salita e in discesa.
La conformazione dell’Altopiano è tale però che sia da Nord che da Sud è necessario alzarsi prima fino alle sommità dei rilievi esistenti per poi scendere e raggiungere la conca centrale; cosa poco pratica da fare, soprattutto quando si portano carichi pesanti come tronchi o legnami.
Le due vie d’accesso principali, a quell’epoca, sono perciò la Val D’Assa - che sale dall’Astico ad Ovest - e la Val Vecchia (toh, come cade a proposito questo toponimo! Che sia un caso?) - dal Canal di Brenta.
Per chi non li conoscesse varrebbe la pena di spiegare però che mentre l’Astico è nel suo tratto montano poco più di un torrente, dalla portata scarsa ed irregolare, assolutamente inadatta alla fluitazione, il Brenta all’altezza di Valstagna è già un fiume a tutti gli effetti, con una massa d’acqua continua e notevole che permette il passaggio sia di zattere che di toppi da sega!
Valstagna diventa il “porto” dell’Altopiano e la Val Vecchia la principale arteria attraverso la quale avviene il trasporto dei tronchi e dei legnami così richiesti dalla Serenissima e di cui i nostri monti sono ricchi.
Se non che la mulattiera della Val Vecchia parte da Foza, il più piccolo e povero dei Sette Fratelli in termini di boschi.
Presto esaurita la propria provvigione, motivo per cui la via di comunicazione era stata costruita dai suoi abitanti, essi chiedono in cambio della manutenzione del percorso di avere l’esclusiva per il trasporto fino a Valstagna delle merci sia di Gallio che di Asiago.
Questo significa però che questi ultimi dovrebbero dividere parte del valore aggiunto dei loro prodotti con i trasportatori fodati. Di qui il litigio tra i Fratelli Diletti.
Si narra che un’ambasceria di Gallio si recò a Venezia e, adducendo a pretesto una gran quantità di remi da galere in legno di faggio già pronti in paese, ma la cui lunghezza era tale da non permetterne il trasporto per la Val Vecchia, riuscirono ad ottenere un contributo da parte dell’Arsenale per la costruzione di una “strada” che risalisse, da Valstagna, l’intera Val Frenzela rimanendo sempre in territorio di Gallio, tagliando fuori così Foza.
Non due, ma tre piccioni in un colpo solo: i soldi per la strada, la vendita dei remi e l’affrancamento da Foza; quelli di Gallio son gente fina!
Inutile aggiungere che a quel punto furono loro a pretendere che Asiago pagasse il trasporto delle merci attraverso la via della Frenzela, appena costruita.
Proprio dirimpetto alla discesa della Val Vecchia c’è però la borgata di Sasso, che fa parte del Comune di Asiago e che una valle, anche se piuttosto ripida e stretta, collega direttamente con il territorio di Valstagna.
<<Perché sprecare soldi con quelli di Gallio>> pensarono i Reggenti di Asiago <<quando possiamo costruirci anche noi la nostra strada e farla, anzi, migliore di quelle altre due?>>
Detto, fatto!
Quattromila quattrocento e quarantaquattro scalini in pietra, fiancheggiati da un cunettone in cui far scivolare a valle i tronchi, vennero messi in posto uno dietro l’altro con i loro muri a secco e parapetti, nonostante le vibrate e alte proteste dei Galliesi e dei Fodati che si vedevano sfuggire una importante fonte di guadagno.
Si arrivò fino a Gian Galeazzo Visconti, nominalmente almeno Signore di queste terre, per dirimere la questione: ma il “Conte di Virtù” diede ragione agli abitanti di Asiago e pose fine alle diatribe.
Da allora un fiume di legno è sceso per la Calà fino al fiume vero, il Brenta, attraverso il quale ha raggiunto poi la Serenissima ed il suo Arsenale, sempre affamati di materie prime.
In senso inverso si sono invece spostate le merci e i prodotti introvabili in Altopiano quali iI vino, il metallo per gli attrezzi, iI sale e iI tabacco - sia quello "ufficiale" dei monopoli di stato che quello "ufficioso" del contrabbando.
Un traffico continuo e operoso che dopo secoli si è bruscamente interrotto nel maggio del 1916: il nemico è alle porte, non più legno ma profughi scendono dall’Altopiano con Ie poche, povere, cose che ciascuno è riuscito a salvare in ricordo di una serenità e di una innocenza che non tornerà mai più.
Nell’altro verso salgono a morire i ragazzi in grigio verde: gli alpini del Veneto, che combattono alle porte di casa, ma anche quelli del Piemonte, della Val d’Aosta, della Lombardia, i fanti sardi della Sassari di Lussu ed i Lupi di Toscana, i bersaglieri e i reparti d’artiglieria someggiata della “montagna”, è come se tutta l’Italia passasse su questo selciato.
Le cime vengono perse e riprese e poi perse ancora, ci si abbarbica ai dirupi ed alle cenge, Asiago e Gallio e Foza sono conquistate dal nemico ma la Calà resta in mani italiane e continua a rifornire di rincalzi e di materiali le prime linee di combattimento, ad evacuare i feriti ed i caduti nelle epiche battaglie delle Melette e dei Tre Monti, a costituire quell’esile filo che unisce la Nazione a chi la difende.
Torna la pace e con essa la ricostruzione dei paesi e dei borghi, ma i prati sono butterati dai crateri di granata e pieni di proiettili inesplosi, i campi pieni di cadaveri sepolti e non, i boschi distrutti: le poche piante rimaste in piedi sono così imbottite di schegge da non poterle tagliare, al punto che per scaldarsi bisogna estrarre le ceppaie dal terreno.
Quando, smobilitati, gli uomini tornano a casa lavoro non ce n’è, e allora giù di nuovo per la Calà, a prendere il trenino della Valsugana che ha sostituito il Brenta come via di trasporto, ma stavolta per andare più lontano: Australia, Argentina, Stati Uniti, si traversano gli oceani per guadagnarsi da vivere.
O si rimane e si fa il recuperante, giocando ogni giorno con la vecchia signora per poche lire.
Col passare del tempo in Altopiano la situazione migliora: i boschi ricrescono, i pascoli vengono bonificati, i caduti raccolti nei sacrari.
Il turismo, anche quello invernale, inizia a farsi strada agevolato anche dall’unica eredità positiva della Grande Guerra, una fitta e capillare rete di strade costruite sia da noi che dagli antichi avversari.
Ma qui, al margine, di quello sviluppo si sentono appena i riflessi ed i ritmi rimangono quelli lenti di un tempo, scanditi dai lavori tradizionali dei pochi rimasti.
Ed intanto si prepara e passa un’altra bufera, la Seconda Guerra Mondiale, che però qui non è “Grande” come lo è stata la catastrofe epocale della Prima: si muore, certo, ma lontano… in Francia, in Albania, in Russia, i paesi comunque rimangono abitati e la vita continua anche se gli uomini sono lontani e se, quando torneranno, qualcuno verrà fucilato, qualcun’altro impiccato o qualche casa brucerà.
Secondo dopoguerra, arrivano i trattori, i camion, le scavatrici, le automobili, le strade asfaltate; e la Calà?
L’antico percorso rimane, ma più come collegamento veloce a piedi col fondovalle e con la ferrovia piuttosto che come via di trasporto per le merci.
Ancora negli anni ’70, quando col Club Alpino Italiano si segnalò il percorso con la numerazione e i segnavia bianco/rossi, poteva capitare di incontrare di domenica qualche Baù che, per santificare la festa, scendeva fino a Valstagna, dove i prezzi nelle osterie erano decisamente meno cari.
La probabile sbronza sarebbe comunque stata smaltita prima di rientrare in paese, su per le erte della Calà.
E arriviamo ai giorni nostri con un itinerario che definire storico sarebbe riduttivo, frequentato in ogni stagione dell’anno da migliaia di escursionisti e conosciuto ben oltre l’ambito locale: pensate che c’è una pagina sulla Calà persino in Wikipedia!
Un’ultima nota di colore: se lungo la selciata incontrerete una coppia che la sta percorrendo mano nella mano, non disturbateli! Un’antica leggenda vuole che se due innamorati compiranno l’intero percorso in questo modo il loro amore non svanirà mai!
0 0 3445 25 luglio, 2014 NOTE DI VIAGGIO luglio 25, 2014

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